Paulo Leminski che disegna: intervista di R a M

di

Intorno a Distratti vinceremo: intervista a Massimiliano Damaggio e qualche poesia di Paulo Leminski

O mundo não quer que eu me distraia. Distraído estou salvo.

Il mondo non vuole che io mi distragga. Distratto, sono salvo.

Paulo Leminski

Qualche anno fa mi contattò R, giornalista per “A folha de São Paulo”. Sull’onda della sempre maggior notorietà di Leminski fuori del Brasile e in vista della prossima pubblicazione in Italia del poeta, R mi mandò alcune domande per un’intervista. Di primo acchito domande assolutamente elementari, in realtà mi aiutarono moltissimo a chiarire i come e i perché del mio lavoro di sei anni su Leminski. Tant’è che poi, rileggendo il tutto, scoprii che l’intervista si era trasformata in un ibrido fra chiacchierata, monologo e pensiero. E ovviamente R, da bravo giornalista attento all’essenza, tutto questo lo intrappolò in dieci righe.

Quali sono stati i criteri per la scelta delle poesie che verranno pubblicate nell’opera Distratti vinceremo, e perché questo titolo sintetizza l’opera di Paulo Leminski?

Ogni antologia è un tradimento. Un oggetto povero e limitato. Come il CV, dove sei costretto a infilare in poche righe tutta la tua vita. Ma visto che parliamo di libri di poesia e di un autore ancora sconosciuto (in Italia, ovviamente), forse non c’è altra soluzione che presentare il “meglio”.

Aggiungo due domande a quelle che mi hai mandato.

1) Che cos’è il “meglio”?

2) E chi lo sceglie?

Un autore d’una qualche grandezza, diceva Pound, lungo tutta la sua opera porta avanti un “disegno”. La sua opera, insomma, è “pensata”. E la grandezza dell’autore sta (anche) nel fartelo vedere questo disegno. Tu, però, devi essere un lettore attento.

Leminski ha un’abbondante produzione critica. Teorizza, riflette, riassume, sogna. Parla di altro e altri ma in realtà chiarisce, per sé e per noi, la sua idea e la sua pratica di poesia. Ci dà dei suggerimenti per una lettura approfondita della sua opera. Perché la poesia non è mai unidimensionale e c’è sempre il pericolo che il lettore si fermi in superficie. Ma sotto l’acqua, ecco un altro mondo di paesaggi e di pesci. E così a volta bisogna convincere il lettore a farsi palombaro.

Il “meglio”, allora, è dove “meglio” vediamo le “tracce del percorso” di un artista. Che in Leminski mi pare corrispondere a una precisa tecnica di “non pensiero”, un 無爲, “wu wei”, “non-agire” poetico. Uno stranissimo e affascinante “non fare” del “fare/poiein”. Cosa lampante in libri come Distratti vinceremo (1987) e La vie en close (1990). Pagine in cui la scrittura del curitibano giunge alla condensa, infine, del suo disegno di

“non pensiero”, spontaneità, libertà naturale del corpo perché si muova conformemente alla sua logica, logica che non differisce dalla logica delle cose, la caduta della pietra, la trasformazione del fiore in frutto, la vittoria dell’acqua sugli altri elementi…

Questo lo scrive Leminski, nella sua bellissima biografia di Basho, a proposito della “comprensione immobile” teorizzata dal monaco zen Takuan Soho.

Ed ecco un altro indizio nel documentario intervista “Ervilha da fantasia” (Werner Schumann, 1985), quando al minuto 8:05 il poeta polacco dice che in poesia ricerca

un movimento di tal forma fedele al movimento interiore, che riesca con la stessa esattezza e precisione di un colpo di karate.

Questo è il disegno. Chiarissimo nella poesia del periodo da lui chiamato “parnassiano chic”, dal 1985 in poi. “Distratti vinceremo” è la “concentrazione deconcentrata”. È fare in modo che la scrittura non sia guidata dalla tecnica dell’autore, ma che le parole siano libere di sbocciare spontaneamente le une dalle altre, permettendoci di vedere “l’albero intero” pur scorgendo “ogni singola foglia”. “La vie en close”, infatti: la vita nel suo particolare, e al tempo stesso nel suo insieme.

Le poesie scelte per l’antologia cercano di far intuire questo “disegno”.

Già conoscevi l’opera di Paulo Leminski? Come sei arrivato a quest’autore?

La poesia brasiliana è la mia casa. Il mio mondo. Io sono un italofono cresciuto in ambienti culturali lontanissimi da quelli italiani. Non per niente vivo da anni in Grecia. La continua fame di poesia mi ha portato, nel 2015, a tradurre alcuni dei cosiddetti “marginali” degli anni ’70. Gente come Chico Alvim, A.C. César, Nicolas Behr, Chacal. Fra questi alcuni ci mettono anche (sbagliando) Leminski. L’ho trovato così.

È difficile tradurre Leminski in italiano? Qual è il processo? Come mantenere le sonorità e i giochi di parole?

Ci sono tanto modi di tradurre. E il solo che non funziona granché è “tradurre per tradurre”. Voglio dire che “riprodurre” le stesse parole in un’altra lingua spesso non dà nessun risultato.

Leminski è difficile. Molto. Nei suoi testi immagine, suono, ritmo e significante spesso formano una sola unità inscindibile. Come un quadro sonoro. Si può tradurre un quadro o una musica?

Allora io uso diversi sistemi. Uno è squisitamente etimologico. In qualche modo potrei azzardarmi a dire che è un sistema “filologico a ritroso”. Dove una parola latina ha dato due differenti significati nelle due lingue cugine (portoghese e italiano), abbiamo a volte la possibilità di risalire a un “terza” parola che magari s’è persa a metà strada, e da lì procedere nella ricostruzione dell’oggetto finale.

Poi, come diceva Pound (e come ripeteva Haroldo), in certi casi puoi lavorare per analogie. Inventi un’altra immagine il cui effetto finale, il cui “senso” sia lo stesso. La “transcreazione” dei concreti, insomma.

E poi, per il “suono” e i “giochi di parole” (come tu chiami volgarmente la musica della poesia), puoi pensare che un testo sia una specie di cubo di Rubik. Lo giri e lo rigiri come ti pare ma sempre un cubo è. I colori saranno disposti in modo differente e creeranno un altro gioco di allitterazioni, assonanze e rime. Ma manterrà la stessa “forma” dell’originale.

Quando tutto questo non è possibile, la cosa migliore è lasciare che la poesia continui a vivere nella sua propria lingua. D’altra parte, tradurre non è necessario. La poesia forse non è nemmeno scritta per essere letta. Io, da scrittore di poesie, credo sempre più che la poesia si faccia scrivere per venire al mondo ed esistere. Un po’ come me e te. Non siamo mica qui per essere tradotti.

È possibile identificare influenze di altri poeti nella poesia di Paulo Leminski?

Se così non fosse, la poesia di Leminski, come quella di tutti, non esisterebbe. Gli unici veri creatori sono degli antropomorfi inghiottiti dal buio dei millenni. Francesco Marotta (un grandissimo poeta italiano che ti consiglio di leggere) dice che “nessuno apre varchi nel nulla” e che tutto ciò che scriviamo è un “canto a più voci”.

Nel Leminski di Caprichos e relaxos c’è un sovrappeso di Majakovskij. Nel dire forte e diretto, nella sfrontatezza, nella baldanza. Nella forma, ovviamente. Perché Leminski è tutto tranne che “impegnato”. Come c’è molto dell’asciuttezza del concretismo. Nel modo in cui compone i suoi haiku, c’è tantissimo Pedro Xisto. Quintali di Millôr Fernandes per l’ironia.

A partire da “Distratti vinceremo” la sua scrittura si fa rarefatta. Come un estuario di Mallarmé. E proprompe una sorta di ostinazione musicale alla Arnaut Daniell.

Ma sopra a tutto, e sempre, fin dall’inizio, aleggia l’essenza della parola giapponese. L’incanto per il “lampo” del momento. L’amore per l’armonia di ciò che è breve e non prosastico.

Leminski non nasconde le influenze degli altri. Come ogni artista vero, va avanti per un sentiero in parte già tracciato. Che tutti speriamo ci possa condurre a farci vedere la lacrima nell’occhio del pesce.

Saudosa amnésia

Memória é coisa recente.
Até ontem, quem lembrava?
A coisa veio antes,
ou, antes, foi a palavra?
Ao perder a lembrança,
grande coisa não se perde.
Nuvens, são sempre brancas.
O mar? Continua verde.

Nostalgica amnesia

Memoria è cosa recente.
Fino a ieri, chi ricordava?
La cosa viene prima
o, prima, la parola?
A perdere il ricordo
gran cosa non si perde.
Le nuvole, sempre bianche.
Il mare? Continua verde.

*

e ver-te
verde vênus
doendo
no beiracéu
é ver-nos
em puro sonho
onde
ver-te, vida,
é alto ver
através de um véu

e vederti
verde venere
soffrire
a rivacielo
è vederci
in puro sogno
dove
vederti, vita
è alto vedere
attraverso un velo

*

Razão de ser

Escrevo. E pronto.
Escrevo porque preciso,
preciso porque estou tonto.
Ninguém tem nada com isso.
Escrevo porque amanhece,
e as estrelas lá no céu
lembram letras no papel,
quando o poema me anoitece.
A aranha tece teias.
O peixe beija e morde o que vê.
Eu escrevo apenas.
Tem que ter por quê?

Ragion d’essere

Scrivo. La cosa è questa.
Scrivo perché ho bisogno,
bisogno perché gira la testa.
E altra gente non c’entra niente.
Scrivo perché in cielo schiarisce
e le stelle rassomigliano
alle lettere sul foglio,
quando la poesia m’imbrunisce.
Il ragno si tesse la rete.
Il pesce bacia e morde ciò che vede.
Io scrivo, e questo è.
Ci dev’essere un perché?

*

Sem budismo

Poema que é bom
acaba zero a zero.
Acaba com.
Não como eu quero.
Começa sem.
Com, digamos, certo verso,
veneno de letra,
bolero. Ou menos.
Tira daqui, bota dali,
um lugar, não caminho.
Prossegue de si.
Seguro morreu de velho,
e sozinho.

Senza buddismo

Un buon
poema finisce zero a zero.
Finisce con.
Non come voglio io.
Comincia senza.
Con, diciamo, verso
certo, veleno di lettera,
bolero. O meno.
Togli qui, metti lì,
luogo, non binario.
Prosegue di per sé.
E va piano
e va lontano:
ma solitario.

*

Desencontrários

Mandei a palavra rimar,
ela não me obedeceu.
Falou em mar, em céu, em rosa,
em grego, em silêncio, em prosa.
Parecia fora de si,
a sílaba silenciosa.

Mandei a frase sonhar,
e ela se foi num labirinto.
Fazer poesia, eu sinto, apenas isso.
Dar ordens a um exército,
para conquistar um império extinto.

Scontrarii

Ho detto alla parola di rimare
ma lei non m’ha ubbidito.
Parlava di mare, di cielo, di rosa,
in greco, in silenzio, in prosa.
Sembrava fuori di sé,
la sillaba silenziosa.

Ho detto alla frase di sognare
e s’è persa in un labirinto.
Fare poesia, mi sa, questo e basta.
Dare ordini a un esercito
per conquistare un impero estinto.

*

gardênias e hortênsias
não façam nada
que me lembre
que a este mundo eu pertença

deixem-me pensar
que tudo não passa
de uma terrível coincidência

gardenie e ortensie
non fate niente
che a questo mondo
mi ricordi l’appartenenza

lasciatemi pensare
che tutto sia soltanto
una terribile coincidenza

*

apagar-me
diluir-me
desmanchar-me
até que depois
de mim
de nós
de tudo
não reste mais
que o charme

spegnermi
sperdermi
sciogliermi
finché poi
di me
di noi
di tutto
non resti
che charme

*

a uma carta pluma
só se responde
com alguma resposta nenhuma
algo assim como se a onda
não acabasse em espuma
assim algo como se amar
fosse mais do que bruma

uma coisa assim complexa
como se um dia de chuva
fosse uma sombrinha aberta
como se, ai, como se,
de quantos como se
se faz essa história
que se chama eu e você

a una lettera piuma
solo si risponde
con alcuna risposta nessuna
così come se l’onda
non finisse in schiuma
così come se amare
fosse più che bruma

una cosa così complessa
come se un giorno di pioggia
fosse un ombrellino aperto
come se, ahi, come se,
di quanti come se
si fa questa storia
che si chiama io e te

*

São não

não são
são não
rogai por nós
para que não
sejamos senão

minha alma breve breve
o elemento mais leve
na tabela de mendeleiev

essa ideia
ninguém me tira
matéria é mentira

Santo no

no santo
santo no
prega per noi
perché non
si sia che un neo

la mia anima breve breve
l’elemento più lieve
nella tabella di mendeleev

quest’idea
non mi leveranno
materia è inganno

Paulo Leminski, Distratti vinceremo
L’arcolaio, Forlimpopoli, 2021
Collana “L’altra lingua” diretta da Lorenzo Mari
cura e traduzione di Massimiliano Damaggio

Paulo Leminski nasce a Curitiba, nello stato brasiliano di Paraná, il 24 agosto 1944, da una famiglia di origini polacche da parte di padre, portoghesi e indie da parte di madre. Dopo aver studiato per un anno presso il collegio dei padri benedettini maristi, impara da solo il francese, l’inglese, il latino, il greco antico e il giapponese. Conosce il grande poeta Haroldo de Campos, leader e creatore del concretismo, che nel 1964 gli fa pubblicare i primi versi sul suo giornale Invenção. Si immerge nella controcultura degli anni ’60 e ’70, frequenta la facoltà di Lettere per poco più di un anno, poi la abbandona. Si guadagnerà da vivere prima come insegnante, poi come pubblicitario, giornalista e critico letterario. A soli diciassette anni sposa l’artista Neiva Maria de Sousa, da cui divorzierà sette anni dopo. Il secondo matrimonio, dal 1986 al 1988, è quello con la poetessa Alice Ruiz, da cui avrà tre figli. È un appassionato di cultura giapponese e insegnante di judo e ha praticato la forma dell’haiku. Muore il 7 giugno 1989, di cirrosi epatica. Nel 1975 esce il romanzo sperimentale “Catatau”, annoverato fra le sue opere più significative, nel quale immagina una visita di Cartesio in Brasile; nel 1984 segue “Agora É que São Elas”. Come poeta, pubblica i volumi “40 Clics em Curitiba” (1976), “Polonaises” (1980), “Não Fosse Isso e Era Menos/Não Fosse Tanto e Era Quase” (1980), “Caprichos e Relaxos” (1983), “Haitropikais” (1985, insieme alla moglie Alice Ruiz) e “Distraídos Venceremos” (1987). Postumi escono “La Vie en close” (1991, con Alice Ruiz) e “O Ex-Estranho” (1996). Ha inoltre scritto biografie di Matsuo Bashō, del poeta João da Cruz e Sousa, di Gesù e di Trotsky. Ha tradotto in portoghese Petronio, John Fante, Alfred Jarry, James Joyce, Samuel Beckett e Yukio Mishima. Nel 2013 è uscito per l’editore Companhia Das Letras “Toda poesia”, che raccoglie la sua intera produzione poetica e ha venduto ad oggi centinaia di migliaia di copie.

Massimiliano Damaggio vive in Grecia. Ha studiato lingua e letteratura portoghese a Venezia e Milano. Si occupa di lettura, traduzione e scrittura di poesia. Ha pubblicato quattro libri di poesia: “Neon” (94), “Poesia come pietra” (’11), “Edifici pericolanti” (’17), “Ces qui prennent un café fac à la mer” (Francia ’17). Di prossima pubblicazione “Io scrivo nella tua lingua” (Zona ’22); uno di traduzioni: “Paulo Leminski, Distratti vinceremo” (’21). È confondatore del blog “Perìgeion, un atto di poesia” e redattore della “Dimora del tempo sospeso”.

Questo sito utilizza cookie o tecnologie simili solo per finalità tecniche, come specificato nella cookie policy.