Epicedio per un lungo amore

di

Sergio Baratto

Nikolai Vasil’evič Gogol’

I miei mi hanno detto Lettere no, piuttosto fai lingue. A me le lingue straniere non è che interessassero particolarmente. Ma avevo letto i Fratelli Karamazov e ne ero rimasto avvinto, così al momento di iscrivermi all’università ho scelto il russo.

Non sapevo quasi niente della Russia, e men che meno della sua letteratura, a parte Dostoevskij. Sembrava proprio una di quelle cose che mi avrebbero stufato dopo un mese.

Invece mi appassionai subito. Fu una scoperta, e l’inizio di un amore divorante.

Il cirillico fu questione di pochi giorni, è davvero lo scoglio minore. Anche i casi, tutto sommato, avendo studiato latino, mi suonavano familiari. E siccome da ragazzino avevo preso una virulentissima sbandata per la glottologia, e in particolare per la comparazione delle lingue indoeuropee, tutto quel bagaglio di mi è tornato utile per uno dei giochi mentali che amo di più: rintracciare somiglianze, ricostruire parentele di suono e di significato, disseppellire filiazioni e ramificazioni. Che bello era il proto-slavo. Che meraviglia vedere come le regole delle mutazioni fonetiche fossero così matematicamente precise…

E mentre sperimentavo la totale follia filosofica del sistema verbale slavo e dei verbi di moto, ho cominciato ad addentrarmi nella fitta foresta della letteratura russa.

Il primo fu Gogol’, che scriveva in russo ma era ucraino. E il primo Gogol’ furono Le veglie alla fattoria presso Dikan’ka, racconti scritti in russo ma ucraini fino al midollo. Un libro meno noto, schiacciato da due giganti come Le anime morte e i Racconti di Pietroburgo, ma veramente affascinante.

Per leggere nella sua integralità il saggio apparso su Bruciare nel buio il 16 luglio 2022 clicca qui:
Epicedio per un lungo amore

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