ULTRACINEMA

di

dettaglio di una locandina di Solaris (Tarkovskij, 1972)

Voglio fare film, disperatamente. Ma non qualsiasi film. Non voglio fare un film che assomigli alla vernice
a buon mercato che si usa per tinteggiare il fienile.
Nicholas Ray (luglio 1978)

Cos’è l’ultracinema?

Ultracinema è cinema bigger than cinema.

Cinema che rompe gli schemi e i generi.

Cinema che deborda sconfina sconcerta.

Cinema di contrazioni e dilatazioni, raffiche e straripamenti.

Cinema la cui intensità tocca vertici al limite della sopportabilità.

Cinema sfondato, di sfondamento.

Cinema spericolato scritto con la macchina da presa e con tutto quello che finisce o sboccia in scena – maestranze sangue attori merda luci muscoli costumi sinapsi focali sperma pixel umori amori…

Cinema che buca e fa sanguinare lo schermo dimostrando perché l’inglese to shoot significa sia filmare che sparare.

Cinema affiorante dalle profondità degli anni profondi.

Cinema siderale, desiderante.

Cinema lampada di un desiderio insaziabile, come Kierkegaard scrive di Aladino: con un artiglio nell’infinito.

Cinema dove lo spettacolo, se c’è, non si riduce a immagine del capitale ma è l’effetto di un’illusione conseguita per amore di verità.

Cinema dove la volontà di verità e la volontà d’illusione convergono attraverso la visione e convergendo si fondono in una volontà di vita impavida, non addomesticabile, si fondono e si rifondano secondo una legge emanata e violata in corso d’opera.

Cinema che prende a colpi di stile, come la salamandra secca e ingurgita la preda con una sola linguata.

Cinema dove lo stile è volontà di rappresentazione radicale.

Cinema narrativo che si apre all’astrazione, dialoga con la forma saggio, si lascia invadere dal documentario.

Cinema documentario da cui irradia la magia del cinema.

Cinema che articola e disarticola e riarticola la propria lingua per incorporare un’epifania che, sulla carta, era fuori dal proprio raggio di azione.

Cinema ideoforo, insieme di azione e contemplazione.

Cinema impuro ibrido bastardo.

Cinema dove pulsano quelli che René Clair chiama i trenta secondi di cinematografo puro – secondi che pur nella loro leggerezza, su chi ha il vizio, sortiscono l’effetto psicotropo di una dose di droga non tagliata, una droga pesante, su chi ha il vizio dell’ultracinema.

Cinema così cinema da far borbottare a qualcuno: non è cinema.

Cinema dove la macchina può sentirsi o non sentirsi ma sempre avvertiamo, nelle sue aritmie, i palpiti oculari dell’autore.

Cinema pendolo che oscilla tra il pudor e l’horror, l’empatia e l’entomologia, la croce e la delizia, l’incanto e la paura, l’eclissi e l’ellissi, la tenerezza e la brutalità.

Cinema delle estremità che obbedisce a un’economia crudele.

Cinema del dispendio che dilapida i suoi bottini.

Cinema che spinge fino in fondo il fallimento congenito all’impossibile che persegue.

Cinema che disarma criticamente chi lo guarda, disorienta nei suoi esiti chi lo realizza.

Cinema di combattimento, nutrito sul campo dello sfarsi dei suoi presupposti: drammaturgici, teorici, perfino poetici.

Cinema antidogmatico che impone all’autore un ripensamento, se non un ribaltamento, della sua idea di cinema, stabilendo nella sua vita di creatore un prima e un dopo nel segno dell’ancora oltre o del mai più o…

Cinema vertigine: voragine e vortice.

Cinema bello terribile, sublime ridicolo.

Cinema ossimoro che si espande comprimendosi o si comprime espandendosi, fedele a logiche talvolta oscure, imperscrutabili, coerente fino alla contraddizione, contraddittorio fino alla coerenza.

Cinema da cui erutta qualcosa di strabiliante.

Cinema ustorio, che abbaglia e abbacina, sprigionato da un grumo rovente – tra i suoi elementi primeggia il fuoco.

Cinema contagioso che non può guarire dal focolaio che lo genera.

Cinema ossessione, balsamo per ossessi incubatori convalescenti.

Cinema sfuggito di mano, a perdita di pensiero, per rifarci gli occhi.

Cinema nella cui trama, durante le riprese, si sono formati squarci che l’autore non poteva ignorare, doveva caderci attraverso e cadendo slargarli.

Cinema che in caduta volteggia: è la febbre dell’occhio.

Cinema di alto voltaggio.

Cinema che della vita vuole captare e rifrangere raggi di ultravita.

Cinema di morte e trasfigurazione.

Cinema feritoia della realtà e dell’irrealtà, fuor di contrasto, fino all’indiscernibilità.

Cinema che viene dalla ferita e va – dritto o per vie traverse – alla ferita.

Cinema che nei suoi stati di grazia – nei momenti di massima intimità dell’autore col mezzo, quando la macchina si fa lingua – rompe il fiato del cinema per dare un nuovo respiro a quel che filma, come lo scrittore che nella trance della scrittura conquista posizioni nel reame del didentro, come il corridore che supera il proprio record dimentico di star correndo.

Cinema all’ennesima potenza.

frame di Film (Beckett e Schneider, 1965)

Ultracinema: cinema che contempla film funambolici, legati dal filo della distanza che li separa:

L’uomo con la testa di gomma (Méliès, 1901) ed Eraserhead (Lynch, 1977)

Faust (Murnau, 1926) e Faust (Sokurov, 2011)

Freaks (Browning, 1932) e Anche i nani hanno cominciato da piccoli (Herzog, 1970)

Il testamento del dottor Mabuse (Lang, 1933) e Arancia meccanica (Kubrick, 1971)

Germania anno zero (Rossellini, 1948) e Vidas secas (Pereira dos Santos, 1963)

Le Sang des betes (Franju, 1949) e Notte e nebbia (Resnais, 1956)

Un Chant d’amour (Genet, 1950) e Funeral Parade of Roses (Matsumoto, 1969)

I figli della violenza (Buñuel, 1950) e Pixote (Babenco, 1981)

Traité de bave et d’éternité (Isou, 1951) Il grande coltello (Aldrich, 1955)

Hurlements en faveur de Sade (Debord, 1952) e Blue (Jarman, 1993)

Vite vendute (Clouzot, 1953) e Il salario della paura (Friedkin, 1977)

Gli amanti crocifissi (Mizoguchi, 1954) e La duchessa di Langeais (Rivette, 2007)

Ordet (Dreyer, 1955) e Stellet Licht (Reygadas, 2007)

La morte corre sul fiume (Laughton, 1955) e The Temptation of St. Tony (Öunpuu, 2009)

Un re a New York (Chaplin, 1957) e Brazil (Gilliam, 1985)

I due volti della vendetta (Brando, 1961) e Missouri (Penn, 1976)

Una vita difficile (Risi, 1961) e Un borghese piccolo piccolo (Monicelli, 1977)

Il gusto del sakè (Ozu, 1962) e Il sapore della ciliegia (Kiarostami, 1997)

Marnie (Hitchcock, 1964) e Il bacio nudo (Fuller, 1964)

Film (Beckett e Schneider, 1965) e Vai e Vem (Monteiro, 2003)

Au hasard Balthazar (Bresson, 1966) e The Turin Horse (Tarr, 2012)

Fahrenheit 451 (Truffaut, 1966) e Solaris (Tarkovskij, 1972)

La vergogna (Bergman, 1968) e Valhalla Rising (Refn, 2009)

Monsieur Hulot nel caos del traffico (Tati, 1971) e Holy Motors (Carax, 2012)

The Act of Seeing with One’s Own Eyes (Brakhage, 1971) e The Act of Killing (Oppenheimer, 2012)

Il potere (Tretti, 1972) e Todo Modo (Petri, 1976)

La grande abbuffata (Ferreri, 1973) e Salò o le 120 giornate di Sodoma (Pasolini, 1975)

We Can’t Go Home Again (Ray, 1973) e Nick’s Movie (Wenders, 1980)

F for Fake (Welles, 1973) e Días de Nietzsche em Turin (Bressane, 2001)

40.000 dollari per non morire (Reisz, 1974) e L’assassinio di un allibratore cinese (Cassavetes, 1976)

Anna (Grifi e Sarchielli, 1975) e Camille Claudel 1915 (Dumont, 2013)

Il braccio violento della legge n. 2 (Frankenheimer, 1975) e Apocalypse Now (Coppola, 1979)

Professione: reporter (Antonioni, 1975) e Seul contre tous (Noé, 1999)

L’impero dei sensi (Oshima, 1976) e Parfait amour! (Breillat, 1996)

Il Casanova di Federico Fellini (Fellini, 1976) e Crash (Cronenberg, 1996)

Brutti, sporchi e cattivi (Scola, 1976) e Trash Humpers (Korine, 2009)

Berlin Alexanderplatz (Fassbinder, 1980) e Vincent & Theo (Altman, 1990)

Toro scatenato (Scorsese, 1980) e Il petroliere (Anderson, 2007)

Made in Britain (Clarke, 1982) e Il piccolo ladro (Zonca, 1999)

Possession (Zulawski, 1981) e Je vous salue, Marie (Godard, 1985)

Sotto il vulcano (Huston, 1983) e Delitto e castigo (Kaurismaki, 1983)

L’anno del dragone (Cimino, 1985) e Hana-bi (Kitano, 1997)

Henry, pioggia di sangue (McNaughton, 1986) e Snowtown (Kurzel, 2011)

Let’s Get Lost (Weber, 1988) ed El silencio antes de Bach (Portabella, 2007)

Le iene (Tarantino, 1992) e Carlito’s Way (De Palma, 1993)

Il cattivo tenente (Ferrara, 1992) e Tyrannosaur (Considine, 2011)

Totò che visse due volte (Ciprì e Maresco, 1998) e Songs from the Second Floor (Andersson, 2000)

Sombre (Grandrieux, 1998) e Under the Skin (Glazer, 2013)

The House (Bartas, 1997) e A Place on Earth (Aristakisyan, 2001)

Los Muertos (Alonso, 2004) ed Essential Killing (Skolimovski, 2010)

Edmond (Gordon, 2005) e Cold Fish (Sono, 2011)

Non è un paese per vecchi (Coen, 2007) e C’era una volta in Anatolia (Ceylan, 2011)

I’m Still Here (Affleck, 2010) e Arirang (Kim, 2011)

Biutiful (Iñárritu, 2010) e Amour (Haneke, 2012)

Hard to Be a God (German, 2013) e Abacuc (Ferri, 2014)

à suivre, come sovrimprimerebbe Godard

frame di Under the Skin (Glazer, 2013)

Questo testo è un’anteprima dell’editoriale in progress di Rifrazioni 15 digital (maggio 2015), www.rifrazioni.net, info@rifrazioni.net.

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