Su “Non nella Enne non nella A ma nella Esse”

di

Salvatore Toscano

Quando leggo uno scrittore per la prima volta mi viene istintivo provare a capire se assomiglia ad altri che già conosco. È solo uno stupido automatismo, quasi un tic, che adesso però potrebbe tornarmi utile per misurare e descrivere lo stupore che il nuovo romanzo di Mariana Branca mi ha provocato…

La scrittrice Mariana Branca non somiglia a nessuno. Ma proprio a nessuno.

Non nella Enne non nella A ma nella Esse ‒ con questo titolo tutto storto, arruffato, che costringe gli occhi e il cervello a percorrere una specie di chicane ‒ si presenta subito come un oggetto alieno, impossibile da definire, lontano da ogni canone o maniera.

In apparenza si tratta di una biografia romanzata del grande musicista americano Nicolas Jaar, personaggio interessantissimo che, va detto, da solo basta a giustificare il prezzo di copertina. Ma ci sono almeno altri tre motivi per fiondarsi a comprare questo libro.

Motivo numero uno: lo stile. Se parlo di oggetto alieno è soprattutto per ragioni stilistiche. Mariana Branca ha realizzato un’opera più simile a un concept album che a un romanzo. La musica della prosa si armonizza alla perfezione con la materia narrata, l’esplosivo impasto linguistico sorprende dall’incipit al finale: la scrittrice nata ad Avellino impiega le parole non per designare le cose ma per avvolgerle dentro una densa nube di suoni e significati, lavora sulla pagina come una dj alla consolle. Ecco un assaggio:

“… Battiti, battute, battenti, pulsazione misurata in radianti. Angoli, angoli smussati, angolature uditive, rotonde, rotanti; rotelle, ruote foniche, fotoni e fluidi in vettori, rotori nella stanza a ruotare…”

Non nella Enne non nella A ma nella Esse per me è stato come un concerto, anzi no, come una lunga e stordente nottata in discoteca. Mi ha ipnotizzato, percosso, cullato nel ritmo sempre un po’ sghembo di ogni frase, intontito con cadenzati riverberi proustiani, sommerso con lente o velocissime ondate psichedeliche. A proposito di ondate, ecco un altro assaggio:

“Perché già a quattordici anni, lo capivamo, che tutto era un poco questione di onde. Che la bicicletta le galoppava nella trasparenza, che la centrale elettrica ce le pulsava nel cervello, che la musica era fatta di quello, che le onde ti sospendono ti elevano ti tengono…”

Nel corso di una presentazione Mariana Branca ha raccontato di aver letto e riletto pochi libri, sempre gli stessi. In particolare il dizionario etimologico e il dizionario dei sinonimi e contrari che per lei sono bellissimi come i romanzi più amati. È stata una microscopica epifania per me: ho il ricordo impreciso di un’emozionante intervista a Solženicyn che spiegava di aver imparato a memoria il vocabolario di lingua russa durante gli anni passati nei gulag. Non so dire se Mariana Branca ha collezionato lemmi per affrontare una qualche forma di prigionia, per cercare conforto, per forgiarsi uno scudo con le parole o per imparare i nomi di tutti i mostri con cui ognuno prima o poi deve fare i conti, ciò di cui posso essere sicuro è che i grandi autori sono sempre ossessionati dalla lingua e che la letteratura è vera letteratura solo quando drammatizza anche questa ossessione mettendo in scena l’eterna battaglia tra noi esseri umani e i limiti del dicibile.

Motivo numero due: il punto di vista. L’avatar scelto per raccontare è un certo Andrés F. Rodriguez, io narrante, coprotagonista e miglior amico di Nicolas Jaar. Il punto di vista quindi è quasi un noi narrante, la voce solitaria di un duo, un’identità mista che va sfaldandosi e ricostruendosi capitolo dopo capitolo.

Per Mariana Branca Nicolas Jaar rappresenta l’amico d’infanzia con cui sognava di attraversare gli anni più belli e difficili, quello con cui si condivide tutto, quello con cui si vive in simbiosi e che lei, purtroppo, non ha mai avuto. In ogni riga c’è trasfusa una specie di nostalgia, una vibrazione struggente, il dolore genuino per questa amicizia mancata. Mariana presta una parte del proprio passato ‒ luoghi, colori, atmosfere, momenti cruciali della storia personale e collettiva, sogni, entusiasmi, fantasticherie ‒ a Nicolas e, conoscendo a menadito ogni intervista rilasciata da quest’ultimo, si appropria con grande libertà di perle e gemme scoperte rovistando nel vissuto dell’altro. Il risultato è un meraviglioso falso originale fino al midollo, un’ucronia ad alto tasso di plausibilità, un romanzo di formazione che suona più vero di un memoir, un impasto di destini che il caso aveva condannato a restare separati ma che la letteratura ha unito: la biografia di un amico immaginario scritta da un amico immaginario. 

Motivo numero tre: Alfredo Jaar. È il padre di Nicolas, un importante artista cileno emigrato negli Stati Uniti per sfuggire alla dittatura, perfetto prototipo di mentore in cui ogni ragazzo sensibile spera di imbattersi: personaggio che incombe con delicatezza e creatività sulle esistenze dei due protagonisti.

Mariana Branca ha studiato architettura e approfitta di Alfredo per deragliare, per spostarsi dalla musica ad altre forme d’arte, per approfondire temi e suggestioni che il capriccio e la passione le suggeriscono, per spalancare piccole o enormi voragini digressive, buchi neri dentro cui il testo invita il lettore a smarrirsi.

Motivo quattro: il Roland JUNO-106. Lo so, lo so, avevo detto che i motivi erano tre… Innanzitutto sto citando un famoso sketch dei Monty Python, ma lasciamo perdere… E poi… Non si può intrappolare un bel libro dentro uno schemino fisso, non si può “ridurre a sistema l’ineffabile” come dice Cioran.

I motivi per leggere Mariana Branca ‒ nella vita reale, al di fuori dei limiti angusti di questa recensione ‒ sono centinaia, forse di più. Mi è chiaro pure che in Non nella Enne non nella A ma nella Esse, senza dimenticare che siamo al cospetto di un esordio, qua e là affiora qualche minuscola smagliatura, ma era da molto tempo che non mi capitava tra le mani un’opera così coraggiosa: Mariana è un talento indiscutibile, non smette mai di osare, non si tira indietro di fronte a niente, alza sempre la posta e quindi fa bene anche quando inciampa, anche quando rischia di far crollare l’intero edificio che ha progettato… Se lo può permettere.

Comunque, il quarto motivo è una mia ipotesi un po’ folle che il libro con astuzia non fa niente per smentire. Ecco l’ipotesi: è probabile che l’intero romanzo ‒ persino le pagine indimenticabili sull’adolescenza e la giovinezza ‒ sia stato soltanto un pretesto per scrivere una commovente dichiarazione d’amore al Roland JUNO-106, il sintetizzatore che ha impresso un segno indelebile su gran parte della musica, elettronica e non, composta negli ultimi quarant’anni, lo strumento del cuore di Mariana Branca e Nicolas Jaar, due terrestri che non si sono mai incontrati ma che hanno cuori che viaggiano alla stessa velocità, che ballano e si dimenano all’unisono nella placida frequenza di…

“Ottanta battiti per minuto, non uno di più.”

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