Still Life. Ai confini tra vivere e morire

di

Daniela Scotto di Fasano

Sabato 26 e domenica 27 novembre, nella sede della Società Psicoanalitica Italiana, in via Panama 48, si terrà a Roma la Giornata nazionale della ricerca della SPI, avente come titolo Still Life. Ai confini tra vivere e morire.

Organizzatrice del Convegno è la psicoanalista Lorena Preta, vivace e attivissima nel mondo culturale italiano e internazionale. Le si deve ad esempio la creazione e l’organizzazione di Spoleto Scienza, che ha visto la compartecipazione di intellettuali di fama internazionale al dibattito culturale e scientifico del tempo. Se ne è conservata traccia in molti saggi curati da Lorena Preta e editi dalla casa editrice Laterza. 

Lorena Preta ha poi diretto per molti anni la rivista della SPI Psiche e dal 2008 coordina il gruppo di ricerca internazionale Geografie della Psicoanalisi. Dirige a tale proposito le due collane omonime, internazionale e nazionale, per Mimesis.

Il Gruppo di Ricerca Geografie della Psicoanalisi ha già prodotto sei podcast sul tema della morte, pubblicati sul sito della SPI e dell’International Psychoanalytical Association, che esplorano le modalità di pensare la morte in varie culture del mondo: India, Iran, Argentina, Italia, Giappone, Messico. 

In un’intervista rilasciata a Davide D’Alessandro per Huffington Post (9/11/2022), Lorena Preta dichiara: “Ci è sembrato fruttuoso continuare la riflessione soprattutto in un momento storico come questo, caratterizzato da una brutalità del presente fatta di conflitti ormai endemici in molte parti del mondo; una pandemia planetaria che ci ha coinvolti in maniera inusuale, collegata ad una crisi ambientale sempre più grave ed evidente che rischia di stravolgere i ritmi e la natura stessa della terra; lo spettro di una  minaccia nucleare che a stento riteniamo possibile, dopo anni in cui si era allontanata l’idea di un pericolo immediato di questo genere; una realtà fatta di trasformazioni corporee sempre più avveniristiche dovute alle nuove tecnologie; una soglia indefinibile tra la vita e la morte dove il corpo è mantenuto vivo addirittura in stato di ibernazione. Fenomeni che ci interrogano costantemente sul confine tra il vivere e il morire.”

Il titolo scelto per il convbegno si rifà al genere di pittura detto Still Life, in cui le cose rappresentate sono fissate in un tempo tra la vita e la morte. 

Come ha dichiarato Lorena Preta, la fotografia scelta come logo del Convegno è di un artista israeliano, Ori Ghersht, che vive a Londra da più di trent’anni e che spesso nelle sue opere fotografa nature morte che poi fa letteralmente esplodere, brocche che si frantumano, mazzi di fiori che si disintegrano nell’aria a rappresentare forse la violenza subita dalla sua famiglia e dal suo popolo ma soprattutto quella del tempo attuale.

A fine novembre, a Roma, nello stile specifico sia di Lorena Preta sia, di conseguenza, di Geografie della Psicoanalisi, cioè in termini di contaminazioni feconde (titolo di uno dei numeri di Psiche), Still Life vedrà confrontarsi esponenti di vertici disciplinari apparentemente reciprocamente alieni. 

Ad esempio, il fisico statunitense Brian Greene, tra i più importanti studiosi delle stringhe, attraverso la narrazione della storia dei diversi eventi cosmici mostrerà al convegno come l’universo si sia progressivamente spostato verso il caos, consentendo, proprio per tale regione, la nascita di pianeti e galassie e perfino, attraverso i meccanismi biochimici, della complessa coscienza umana. Il rapporto con il senso della morte è di conseguenza, nel suo contributo, il fatto che “Dobbiamo accettare che non esiste nessun progetto grandioso: le particelle non hanno uno scopo e non esiste una risposta finale”. 

L’esito del suo discorso coincide – paradossalmente quasi vi confluisce – con i contributi degli psicoanalisti presenti al convegno, addirittura con la radice stessa della Psicoanalisi: non possiamo guardare che “verso l’interno”, verso la nostra storia, la nostra cultura, la nostra umanità.

Sebbene la morte riguardi tutti i viventi, vegetali e animali, con Freud sappiamo che essa è irrappresentabile, ed è pertanto stato necessario dalla nascita del pensiero cercare di trovare dei modi per raffigurarla o per allontanarla, negarla oppure superarla in maniera onnipotente.

Kafka ad esempio, come si sottolinea nel contributo degli psicoanalisti Marco Francesconi e Daniela Scotto di Fasano, “scoprendo nel 1911 (e non, come abitualmente indicato, nel 1917) di avere la TBC iniziale (cutanea), scrive nel 1912 le Metamorfosi, ‘diventando’ concretamente lo scarafaggio moribondo che tutti conosciamo. Kafka però mostra di riuscire a farne racconto”, trovando il modo di scriverne per superarla anziché, come in molti casi, in particolare dell’attualità, il modo onnipotente per superarla è drammaticamente messo in atto. 

Tale riflessione coincide con il discorso del contributo della studiosa di Storia Orientale Silvia Ronchey, che ha accompagnato James Hillman negli ultimi momenti della sua vita “pensando e creando immagini”, “l’immagine vera o ultima”, per “estrarre l’immagine vera della psiche dalle false immagini del mondo per sconfiggere la morte proprio nel momento in cui si ferma la vita”.

Fin dal titolo del convegno ci si interroga sul confine tra il vivere e il morire, articolando un confronto tra varie culture e diversi approcci disciplinari dal momento che il problema pertiene a qualunque teoria della vita, dell’uomo come dell’universo. 

E’ proprio per tale ragione che si confronteranno con storici, astrofisici, letterati molti psicoanalisti.

Tra i primi e più famosi, l’indiano Sudhir Kakar, che descrive i due immaginari occidentale e indù e buddista e mostra, attraverso l’analisi della poetica del pensatore e poeta indiano Tagore, come la morte abbia significato “a causa” dell’esistenza della vita.   

Dell’Iran e della sua dolorosa storia recente dirà la psicoanalista iraniana Gohar Homayounpour che, a partire dal sacrificio delle ciocche di capelli delle donne iraniane, rileva come in Iran stia nascendo una “nuova epica femminile” volta ad instaurare “un’etica della vita” contro quella della morte.

Anche lo psicoanalista argentino Mariano Horentsein si rifà a degli episodi storici nel tentativo di esplorare la zona tra la vita e la morte a partire dall’esperienza dei “desaparecidos” durante la dittatura latino-americana e dei Musselmaner, come venivano chiamati i prigionieri nei campi di detenzione nazisti destinati a morire di inedia ma anche i rifugiati e gli espatriati. 

Se poi lo psicoanalista italiano Andrea Baldassarro esplora il fatto che vorremmo tornare a un vuoto senza più tensioni, Rosa Spagnolo esamina la questione da un punto di vista neuropsicoanalitico pensando alla vita come a “una struttura capace di evolversi in qualunque incarnazione materiale si adatti meglio ai suoi scopi”, convergendo il suo discorso in quello di uno dei grandi ospiti del convegno, il già citato Brian Greene, il matematico e fisico statunitense studioso delle nuove frontiere dell’astrofisica.

Nadia Fusini, infine, importante studiosa di letteratura inglese, lavora nel suo contributo sulla morte a partire dall’immagine del quadro di Hans Holbein J., raffigurante due signori riccamente vestiti che rappresentano il potere terreno e clericale ai cui piedi giace un teschio visibile solo adottando un punto di vista che lo rilevi per anamorfosi, trattandolo come “ingombro allo sguardo” che richiama l’esclamazione di Amleto “Ay, there’s the rab” per esprimere la problematicità del pensiero della morte di fronte al quale c’è solo l’impotenza. 

Tra i chairman, preziosa la presenza del direttore della Rivista Italiana di Psicoanalisi, Alfredo Lombardozzi, al quale spetterà il compito, assieme agli altri membri di Geografie della Psicoanalisi, di trarre le comclusioni rilanciando a ulteriori prossime riflessioni.

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