Risposta a Marco Bascetta

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Sul quotidiano Domani di martedì 23 maggio ho fatto notare quante prestazioni professionali non vengono pagate a chi lavora con i libri e intorno ai libri: cioè chi i libri li presenta in libreria e nelle biblioteche e nei saloni e nei festival letterari; chi li valuta nelle giurie di premi grandi e piccoli, riservati a romanzi editi o a manoscritti di esordienti; chi li commenta nei convegni e nelle tavole rotonde; chi promuove i classici nelle scuole, dalle primarie alle università, nei gruppi di lettura in biblioteca, nelle carceri, nelle cosiddette università per anziani; chi legge manoscritti; e in altre situazioni analoghe. È una mole ragguardevole di volontariato; che, nelle vite individuali, può diventare schiacciante, se commisurata alle forze personali e ai soldi che servono per vivere. Per un campione di sollevamento pesi, cento chili non sono nulla. Per i bacherozzi come me, basta molto meno per restare spiaccicati al suolo.

Il mio articolo rilanciava un bell’intervento di Vincenzo Latronico sul Post. Latronico constatava come al Salone del Libro di Torino tutti guadagnino fuorché chi i libri li scrive e li presenta; cioè anche chi, negli incontri pubblici, siede al fianco di autori e autrici per intervistarli e suscitare la discussione.

Marco Bascetta sul Manifesto, ha scritto un breve commento.

Bascetta dice di me che «[Scarpa] ha scelto di respingere buona parte delle richieste che gli vengono rivolte e fa bene. Può permetterselo». In che senso «posso permettermelo»? Se sono richieste di prestazioni non pagate, le respingo proprio perché non posso permettermele. Non posso permettermi di fare le cose gratis, dato che ho bisogno di lavorare e guadagnare per non soccombere. Non si può passare la vita in gita, a presentare libri, partecipare a Festival, convegni, eccetera. «Può permetterselo»? Anche un no costa, perché poi non ti reinvitano, e comunque si perde un’occasione di incontro con il pubblico, con colleghi e altre persone con cui intrecciare relazioni umanamente toccanti e a volte professionalmente utili.

Poi Bascetta passa a rilevare il fatto che in Italia «tutto si articola da sempre per via corporativa, dai tassisti ai balneari, agli scrittori». Insomma, mi dà del corporativo, dell’egoista che parla solo pro domo sua e resta insensibile alle ingiustizie patite dalle altre categorie sociali. (Immagino che, dal suo punto di vista ideologico, questo sia il peccato sommo per un intellettuale). Peccato che a presentare libri e svolgere le attività culturali analoghe che ho elencato, ci siano varie categorie professionali, non certo solo scrittori e scrittrici: giornalisti precari, studenti universitari o dottorandi, studiosi, docenti, bibliotecari e appassionati di letteratura.

Bascetta fa notare che le prestazioni degli intellettuali sono ben poco rispetto all’immane volontariato che tiene in piedi l’industria culturale e anche le istituzioni in Italia: menziona l’Expo, l’università e il precariato dei dottorandi, i media e l’“economia della promessa” cioè i miraggi di carriera con cui vengono sfruttati i collaboratori. Quindi, il mio peccato di mancata ortodossia politica è essermi permesso di esprimere una difficoltà personale e di categoria (e però, come ho già detto, la situazione riguarda non solo chi i libri li ha scritti, ma chi li presenta in pubblico e ne parla accanto ad autori e autrici, chi fa conferenze, interventi di vario genere eccetera).

Non vedo perché non si possano affrontare le cose una per una, senza per forza denunciare (retoricamente?) tutto l’universo. Qui l’occasione riguardava il Salone del Libro di Torino, e un articolo specifico di Vincenzo Latronico. Io, riprendendo il suo spunto, ho aggiunto che a me, e a molti altri lavoratori intellettuali, si chiedono tante altre prestazioni gratuite, troppe. Se le facessimo, non potremmo sopravvivere. E dunque, tra l’altro, poi non avremmo i mezzi e le forze per puntare il dito su altre ingiustizie. Difficile fare «lotta politica», come auspicherebbe Bascetta, se l’unico assillo è pagare gas, elettricità e affitto. Non so se Bascetta si è accorto di quanto è aumentato il costo della vita. Crede che gli intellettuali ne siano immuni? Al di là di questo, resta il fatto che l’Italia esprime una grande richiesta sociale di prestazioni culturali, ma troppo spesso si aspetta di riceverle senza pagarle. Ovvero, paga il fonico del service che fornisce i microfoni e amplifica la conferenza, ma non il conferenziere.

L’affondo di Bascetta è nelle frasi finali del suo articolo, che riporto senza sminuzzarle: «Il lavoro gratuito è uno dei pilastri dell’economia contemporanea, della quale quello degli intellettuali riconosciuti non è che una frazione insignificante, garantita e al riparo da ricatti. Ma avrebbe comunque un senso se venisse impiegato per denunciare questo sistema di sfruttamento nel suo complesso. Quando ti batti contro un potere dominante non puoi pretendere che ti paghi. Non sarebbe una prestazione, ma lotta politica. Per chi ha ancora la voglia di farla».

Come si vede, è una condanna senza appello, il finale in crescendo di un articolo che era cominciato con toni concessivi.

Vale la pena di decostruire le sue frasi, che sono un coacervo vischioso di falsità, colpi bassi e pregiudizi ideologici.

In quel paragrafo finale, Bascetta ricorda ciò che aveva detto prima, e cioè che il volontariato non riguarda solo gli “intellettuali riconosciuti”, ma altre categorie ben più cospicue di lavoratori culturali sfruttati.

Poi arriva una frase incredibile: «l’economia contemporanea, della quale quello degli intellettuali riconosciuti non è che una frazione insignificante, garantita e al riparo da ricatti». Per Bascetta il nostro lavoro è una “frazione insignificante”. Davvero parole simili sono potute comparire sul Manifesto? Un giornale che si schiera sistematicamente dalla parte delle situazioni “insignificanti” di lavoratori e lavoratrici di qualsiasi categoria vessata, e che denunciando le loro difficoltà non sta di certo a soppesare quale percentuale abbia rispetto al panorama generale. Quanto bisogna pesare, per Bascetta? Il 5, il 3, lo 0,1% non sono abbastanza? C’è una soglia minima per non essere “insignificanti” e degni della sua attenzione politica?

Con questa frase Bascetta, non so quanto consapevolmente, esprime il tipico atteggiamento ostile contro gli intellettuali, atteggiamento storicamente di marca totalitaria, comunista o fascista che sia: va benissimo difendere le categorie minoritarie (perfino insignificanti se commisurate alla scala dell’economia nel suo complesso), purché non si tratti degli insignificanti e indigesti “intellettuali riconosciuti”. Gli consiglio di riprendere in mano Works di Vitaliano Trevisan: è significativo che in quel libro (magnifico) l’autore abbia annoverato fra le sue esperienze di lavoro travagliate e malpagate anche la coda finale, cioè la sua fase di autore letterario, teatrale, e di sceneggiatore. Non l’ha di certo considerata un paradiso a parte, ma una condizione a pari merito con quelle precedenti da operaio, carpentiere, geometra di mobilificio, portiere di notte.

Bascetta considera gli “intellettuali riconosciuti” una frazione «garantita e al riparo da ricatti». È sbalorditivo, è fantascienza che si possa dare dei “garantiti” ai lavoratori intellettuali. Come se non bastasse, questa morale ci viene fatta da un giornalista professionista, vale a dire la frazione professionale, quella sì, fra le più garantite in Italia. So bene che il Manifesto è una cooperativa, e i compensi di chi ci lavora non sono paragonabili a quelli dei colleghi di altri giornali. Ma mi risulta che gli iscritti all’albo dei giornalisti abbiano comunque agevolazioni e tutele previdenziali che io mi sogno.

Bascetta, pur avendo fatto l’editore (di manifestolibri) dimostra (o fa finta?) di non sapere niente della situazione di precariato degli intellettuali, “riconosciuti” o no che siano. Che ci consideri “garantiti” è una beffa che si sovrappone al danno della nostra situazione, al sempiterno precariato economico previdenziale esistenziale totale che ci accompagna per tutta la vita. Le parole di Bascetta sono ancora più odiose se si considera che vengono da una parte politica che dovrebbe conoscere ciò di cui si parla in questo caso. E che noi si sia «al riparo da ricatti», chi lo dice? Bascetta pensa che rifiutare inviti a eventi pubblici sia senza conseguenze? Ma su questo ho già risposto.

Bascetta concede che comunque, anche se economicamente insignificante, il nostro ruolo «avrebbe un senso se venisse impiegato per denunciare questo sistema di sfruttamento nel suo complesso». Cioè l’“intellettuale riconosciuto” ha senso solo se fa denunce che trascendono la situazione che ha toccato con mano e che lo riguarda personalmente. Per Bascetta, quindi, il nostro ruolo (e, nella fattispecie, l’intervento mio e di Latronico), non ha senso. Dice proprio così: «avrebbe senso se…».

Poi aggiunge: «Quando ti batti contro un potere dominante non puoi pretendere che ti paghi». Altra frase da incorniciare. Intanto, chi dice che io mi batta contro le presentazioni dei libri, i festival, i convegni, gli interventi nelle scuole, i premi che fanno conoscere gli scrittori inediti, eccetera? Questo non è “un potere dominante”. Questa è la società. E io sto facendo notare che, siccome la società spesso non mi paga, io non posso esserle utile quanto vorrei e quanto essa stessa, a quanto pare, richiederebbe da me e da tanti altri.

E poi c’è la chiusa sulla lotta politica, in cui Bascetta mi dà dello svogliato (nonostante tutto quello che ho fatto nella vita, e che si può facilmente verificare). Il mio intervento evidenziava che, quand’anche si voglia condurre una lotta politica (e che cosa sono le prestazioni che ho enumerato nel mio articolo e all’inizio di questo intervento, se non lotta politica?), bisogna pur avere un minimo di sussistenza per poterla fare. Come è possibile andare in giro a fare convegni, presentazioni, festival, eccetera, senza ricavare un centesimo? Bascetta crede che il mio padrone di casa accetti che io gli paghi l’affitto in voucher con le attestazioni di partecipazione a eventi letterari? L’ho detto nel mio articolo e lo ripeto qui: l’Italia è il Paese dei Balocchi culturali.

Chiedo scusa se questo testo è sciatto, pieno di incisi e parentesi. L’ho buttato giù di getto e non ho modo di appianarlo. L’ho scritto gratis e non posso permettermi di dedicarci troppo tempo a limarlo.

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