Qualche giorno fa il regista moldavo Artur Aristakisyan è stato arrestato a Mosca, nell’aeroporto di Vnukovo, mentre si accingeva a partire per Istanbul. Secondo alcuni conoscenti, la detenzione del regista sarebbe collegata alle sue dichiarazioni pubbliche contro la guerra. Aristakisyan nasce nel 1961 a Kishinev, Moldavia, in una famiglia di origine armena. Si trasferisce poi a Mosca per studiare cinema e dove tuttora insegna alla Moscow School of New Cinema e all’Institute of Liberal Arts and Sciences dell’Università Internazionale di Mosca (MMU). Ha realizzato pochissimi film, ricordati per il loro forte impatto sulla critica. Ricordiamo: Ladoni (Le palme delle mani, 1993) e Mesto na zamle (L’ultimo posto sulla terra, 2001).
Riproponiamo la conversazione avvenuta nel 2008 a Potenza, nell’ambito del workshop Verità e Bellezza, tra il regista Artur Aristkisyan e il poeta Domenico Brancale, apparsa sulla rivista Rifrazioni. Dal cinema all’oltre” numero 3 (maggio 2010).
Introduzione e trascrizione a cura di Gianluca Pulsoni. I testi in recto sono di Domenico Brancale, quelli in corsivo di Artur Aristakisyan.
Ricordi di un incontro
C’era la neve, quel giorno. Sembrava di essere in un altrove, chissà dove. E si può forse rievocare attorno a quell’atmosfera, all’immagine di una città dissolta nel bianco, solo qualche parola. E sempre, purtroppo, di troppo. Era l’8 Febbraio del 2008, a Potenza, e in occasione del workshop Verità e Bellezza che due soggetti, assai singolari, hanno dato frutto a un inizio particolare di confronto, tra cinema e poesia: Artur Aristakisjan, cineasta nato in Moldavia da una famiglia d’origine armena e autore di due film, tanto personali quanto definitivi,a loro modo: La palma della mano (Ladoni, 1993), “lettera” di un padre a un figlio mai nato; L’ultimo posto sulla terra (Mesto na zamle, 2001), spaccato su una comunità di marginali che vive autonomamente la propria condizione umana e, Domenico Brancale, poeta nato in Lucania e autore de L’ossario de sole (Passigli, 2007). Così un giorno dopo fu Cataletto per Aristakisjan: poesia in forma (aperta) di cinema.
Ricordi di una conversazione
… “Oggi è caduta la neve a Potenza… e questa neve caduta fa sì che io ti abbia pensato, forse perché vieni da molto lontano, forse perché vengo da troppo vicino… Ma oggi è caduta la neve… Ed è ad un particolare tipo di neve che penso: la neve sporca, la neve nera quella che resta ai margini della strada, ai margini della nostra vista. Lo scarto. La neve che irrompe. La cui percezione è di per sé ingombrante. Come l’immondizia”…
… Ospite di una persona a Mosca, vidi appena aperta la porta di una casa da cui una quantità immane di immondizia ne usciva fuori. E questo dimostrava nient’altro che quello che teorizzava la persona che abitava quel luogo, una specie di filosofo da strada: ovverosia che, quando qualcuno bussa, è l’immondizia ad aprire. A cadere. A venirci incontro. Tutto è immondizia allora. Tutto… Ma c’è qualcosa di prezioso che si può rovistare in essa, qualcosa che resta… Questo “manto” copre e non copre tutto… Come la lingua…
… “Esiste una lingua che non appartiene a nessun uomo… Che cos’è allora, cosa non è la parola?”…
… Le parole di per sé non hanno significato, ma sono solo segno: e non costituiscono un sogno, un linguaggio. Ci vuole ben altro, ma la prospettiva di questo altro avvicina alla “terra”. Guarda in basso…
… “Come gli animali, che vedono l’assoluto: il bianco e il nero”…
… Il colore sotto questo aspetto non ha un grosso peso: è dentro già al bianco e al nero, sempre. Il visibile è sempre ciò che tu vedi ma non è ciò che viene verso di te: ciò era importante per i mistici. Ma forse davvero il mondo è iniziato in bianco e nero…
… “Perché allora questa presenza che vive il mondo? Il bianco e nero non si avvicina meglio al riconoscimento dell’anima?”…
… Ma la realtà c’è, e non c’è scelta. È quello che è: come l’immagine è autotelica, così l’uomo reagisce tornando ad essere ciò che era, un animale – un gatto, un uccellino – e che solo così sia capace di capire che davvero la realtà è materiale per la sensibilità e il pane dei sensi. Fino a riempirsene, per essere invisibile agli altri…
… “Forse il bianco e nero è la chance per l’uomo di poter essere assente a questa vita, un dio senza altare, divino senza saperlo in mezzo a tutti, invisibile e vicino agli occhi di tutti. Trasparente”…
Nel continuo di un’altra conversazione
Scrivere a un volto è desiderare un tu. Sacrificarlo
La tua prima possibilità di salvezza è perdere il senno. Semplicemente perdere il senno
Non preoccuparti se non sai lavorare e parlare. Non hai bisogno di fare né l’uno, né l’altro… Comincerai a parlare dopo, quando la gente avrà pronunciato tutte le combinazioni di parole. Quando la gente avrà mangiato la propria lingua, proprio allora comincerai a parlare tu
Chi ti ha donato la parola, ti ha tolto il silenzio. Sputare neve – mangiato sangue
La bocca è un carcere a vita senza indulto
Non puoi ancora vedere la forma del tuo silenzio
Quanto è difficile andare incontro e abbracciare colui che non verrà mai
Tua madre non è mia moglie. E è possibile che molto presto tu verrai raschiato dal suo ventre pezzo a pezzo
C’è un’ala che in questo preciso istante cade a terra morta
Un fremito di raggi spezzati sparpagliato sul tuo viso. Addio pezzi di me
Ma per quanto mi riguarda sento di averla fatta finita con la parentela nel momento in cui è nata mia figlia. Lì è nato ed è morto il mio nome
«Due è il principio della fine» così mi ha sussurrato V. B.
Cerco un nome che non mi chiama
E lui mi ha detto «Chi mi crocifiggerà non importa. L’importante è essere torturato»
Finché non nascerai sarai giovane e avrai un futuro
La notte in cui spingerai alla luce la tua debolezza non è ancora finita
Tuttavia se è possibile, conserva la verginità. Non diventare un uomo
La vita è soffio di niente sul niente. Un nulla che il nulla innamora
Figliolo nel profondo del tuo cuore c’è il corpo di un mendicante. È il più esile dei corpi. Con questo corpo potrai abbracciare qualsiasi donna. È un corpo sempre nudo, è così nudo che non si può vedere. Lui non è del sistema
E le macine girano… Con le sue ginocchia indovina la sorte della ragazza
Il desiderio di essere muto ha fatto la mia paternità
La tua nascita mi spaventa… Figlio mio, arrivare da te mi terrorizza. Mi terrorizza vedere la tua faccia
Per un momento ho avuto la sensazione che tu abbia già parlato dopo la tua morte
Non essere fino a tal punto di credere di essere. Fallire
A lui è capitato di essere nato uomo, ecco perché è invalido
Hanno detto al figlio che la gente, tutti quanti sono ciechi e che nessun uomo può vedere se stesso
Un cieco tendendo le sue mani trasmette cecità. Non sono stato abbastanza cieco
Quando la schiuma avrà oltrepassato la breccia dello sguardo… dovrai piangere le sue lacrime
La lingua non può vedere tutto
Se io potessi vedere, farei l’amore con gli occhi
Voglio che la tua crescita segua la strada del rifiuto, del rifiuto, della privazione
Nella corsa di tutti trova la forza di fermarti. Sbarra le vie lattee
C’è qualcosa di molto umiliante in un uomo che si affretta al lavoro. E tu non dovresti andare a lavoro
Non saprei che farmene di una vita senza l’abisso dello spiraglio
Dove non posso essere dinanzi a te. Tutto è esilio
C’è al mondo qualcosa che non è di competenza della legge, è la condanna. La condanna
L’utero dovrà essere libero
Il cordone intorno al tuo collo. Un’ombra di perle. Tu alla ricerca del vagito che segna il ritorno
Dovunque pendono corde sul nulla
Quale buio dovrà sopportare questo lume? Una luce è stata nero
Voglio solo dirti che ti perdono in anticipo tutto, tutto quello che farai se vivrai. E tu perdona me, perdona tua madre. Perdona il nostro incesto… E il fatto che non ci vediamo è la prova migliore che io sono tuo padre e tu mio figlio
Tutti i tuoi passi indietro ti portano al Golgota
In cammino è già la sua morte
Il cielo era l’ultima verità nascosta della terra
Solo ora sembra far voce
Tu partirai e colui che forse merita la salvezza più di te, resta
L’importante è allontanarsi, giungere nel luogo in cui respira l’orizzonte, sfiorare altro. Virare a nero. Allontanarsi
Qualunque sofferenza insidi il nostro corpo bisogna amarla per il solo fatto che un giorno finirà anche questo amore
Tutto si riduce a prassi, la prassi dell’anemia
Ecco perché fanno l’amore attraverso la morte
Una persona può baciare la morte di un’altra persona attraverso la propria morte
Eravamo neve prima che spargessero sale
E al posto della gente c’erano lapidi… Le lapidi si abbracciavano e si sostenevano. Vivevano la loro vita
Una voce può irraggiare fino ai suoi nervi
Piangevano con queste lettere… Mi sembrava che le lettere non fossero lettere, ma baci dopo la morte
Figlio mio, non baciare un’amante significa baciarla
Questo è tutto… Questa è tutta la mia vita
Postumi ci sopravviviamo
Non resta che la neve sulle nostre ossa
Tu parli con un figlio non nato. Io non parlo con un figlio nato
Le immagini riprodotte si riferiscono al libro spartito della performance di Domenico Brancale “Cataletto per Aristakisyan”