La vecchiaia permanente
Maria Cerino
Se c’è una caratteristica che fa del malato un malato è la
deformazione. Non il cambio di connotati che alcune patologie impongono alla
fisionomia di chi si ammala; ma proprio l’allungamento delle pareti, l’allargamento
della porcellana dei piatti, la pesantezza delle ante, la distanza dal letto o
da una porta. Se uno dei miei figli mi avesse chiesto come comportarsi, come
rendermi un uomo diverso dall’uomo che sono oggi ma di certo più vicino all’uomo
che ero prima di tutto questo spaventoso
modificarsi, gli avrei chiesto: Una stanza, voglio vivere in una stanza. E sembrerebbe
banale poiché è a una stanza che ti costringe la malattia, a un letto, per
farla semplice. Era un’altra la camera che immaginavo per me; era la camera dei
sette nani in cui tutto ritornava a misura d’uomo, in cui il cucchiaio si
faceva piccolo e la pasta era abbondante non di troppo ma di fame. Un uomo è un
uomo quando ha la possibilità di dominare almeno lo spazio tra un materasso e
un cesso. Nella casa dei sette nani non c’è umiliazione che tenga. E se ti
pisci addosso hai almeno la fortuna di aver annacquato il letto il salone la
cucina e l’ingresso, che cazzo; se ti pisci addosso pisci sui mobili, sul
pavimento lì fino al lavabo e mica è un pensiero da stupidi sentire che c’è
ancora un po’ di potenza in quella pompa senz’aria; se ti pisci addosso in una
casetta come quella è quasi una soddisfazione. E se ti caghi nelle mutande non
ce la fa il materasso da solo a fermarti nella vergogna: ti guardi intorno e
non vedi quel bianco immenso e splendente, tipico soprattutto delle stanze
vecchie in cui sei stato giovane e in cui ora sono giovani i tuoi figli e le
loro nuore i tuoi nipoti, che tu hai paura di sporcare alzando già solo la testa dal cuscino e quel bianco che hai intorno che sa di salute, sa di forza, di
scopate, persino di guarigione ti
ammonisce sta fermo lì sta fermo lì povero di un malato, fermo lì che la merda
ti si secchi al buco del culo, che ti risalga su fino alla gola e che la vomiti
pure tutta la tua strafottuta paura. E così
ti sei conquistato il tuo primo pannolone. Altro che avere sette anni farsela
nelle mutande e continuare a giocare e poi pulirsi il culo scendendo da seduto
uno ad uno i gradini, quella è cacca, aiutandoti con un dito. |
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