
Martedì 2 giugno 2015,
Festa della Repubblica,
da qualche parte nel Sud.
Rovinomane ed erotologo. Uccellaccio erbivoro e dispensatore di medicine carnali. Masticatore d’aglio e cacciatore di vampiri diurni. Fratello del cane di Goya e amante della moglie di Cézanne.
Guido Ceronetti ha emesso il suo primo vagito nell’agosto 1927 e oggi rimane il pensatore urlante lucido tagliente di libri come Il silenzio del corpo e La pazienza dell’arrostito. Il 90 non gli fa paura. La mano tremerà forse un po’ – è fisiologico: il numero dell’infinito sta per ripetersi – ma l’occhio non si è distolto dal punto da incidere per far gridare il suo e nostro tempo. Gridare allo stupro.
Nel 2014 è apparsa la sua ultima raccolta di aforismi, L’occhio del barbagianni. Assunta d’un fiato, dopo una corsa spurga-tossine, io vi ho trovato refrigerio sinapsico nel dì di festa. A te, impavido lettore, di queste 134 stille di pensiero vedente ne somministro cinque senza indoramenti o precauzioni. Incòrporale, meditale a fondo: saranno gocce di veleno o vaccino a seconda della robustezza della tua costituzione spirituale. Balsamo, comunque, per animi ulcerati dallo spettacolo della pochezza, della violenza, dell’inerzia sovrane.
12
Nessuna saggezza di vita sopravvive a tre giorni di stitichezza.
14
È matura per la Distruzione una società che ha per tempio la Banca, che vive e sopravvive in attesa o nel godimento di una pensione.
22
L’imperdonabile Alto Tradimento della filosofia consiste nella procreazione.
75
Nessun politico è privo di datori di lavoro che abitano stabilmente nelle tenebre.
110
Cantare consola di vivere e medica ferite di più d’una vita, perché è essere assunti tra i cori infiniti dei morti.

Guido Ceronetti, L’occhio del barbagianni, Adelphi, Milano 2014.